domenica 4 luglio 2010

La libertà dei servi

dal blog di Luca Boschi ... 11 ANNI DI GOOGLE E L'ITALIA VISTA DALLA PRINCETON UNIVERSITY

La libertà dei servi di Maurizio Viroli

L’Italia è un paese con libere istituzioni ma gli Italiani sono servi.
Ha libere istituzioni perché le regole democratiche e le libertà civili sono, con poche eccezioni, rispettate.
Gli italiani non sono liberi perché mancano, in generale, delle fondamentali qualità proprie di liberi cittadini: il rispetto delle leggi e della Costituzione, la volontà e la capacità di assolvere i doveri civici.
Il vero segno distintivo del potere è oggi mostrare disprezzo per le responsabilità e per le norme. L’Italia appare, a chi la guarda dall’esterno, una grande corte, con un nuovo tipo di principe al centro.

Nei secoli gli italiani hanno creato forme di governo e modi di agire politico che non avevano precedenti. Gli esempi più chiari sono le libere repubbliche della prima età moderna e il fascismo.

Le prime furono esempi di libertà, con tutti i loro limiti; il secondo un esempio di dominio totalitario, ma le une e l’altro furono creazioni originali.
L’Italia dei nostri tempi è un’altra creazione politica originale.
Nella storia ci sono stati e ci sono molti casi di cattivo governo, nel senso di governanti che fanno il proprio interesse anziché curare il bene comune e violano i fondamentali diritti di libertà dei cittadini.

Ci sono stati e ci sono anche casi di istituzioni oppressive e di popoli liberi, ovvero popoli oppressi da governi corrotti che hanno invece conservato lo spirito libero.
L’esempio che non si era ancora visto è quello di un popolo non libero con libere istituzioni: un paese democratico dove i cittadini sono diventati, con eccezioni, s’intende, una moltitudine di cortigiani anche se i governanti non hanno fatto nulla per violare le regole democratiche e i diritti civili.
Come si può capire tutto questo?

Per quanto possa sembrare strano, visto che il creatore del nuovo sistema politico italiano si proclama alfiere della libertà, il problema italiano è un problema di libertà, l’Italia non è un paese libero.

Per capire quest’affermazione bisogna intendere bene che cosa vuol dire libertà politica. La concezione prevalente, quella propugnata e diffusa dai governanti, afferma che noi siamo liberi nella misura che non siamo oppressi, ovvero fin quando nessuno ci impedisce di fare quello che vogliamo e possiamo fare, e nessuno ci impedisce di esercitare i nostri fondamentali diritti. La mancanza di libertà, sempre nella concezione oggi dominante, è la conseguenza di azioni, di quello che fa o non fa chi governa e in generale chi ha potere.

A proposito di questa concezione della libertà è bene sapere che il primo pensatore politico che l’ha teorizzata era Thomas Hobbes, un sostenitore della monarchia assoluta che non accettava neppure la distinzione fra monarchia e tirannide. Ed è bene soprattutto sapere che il capitolo della sua opera Leviatano in cui la spiega si intitola La libertà dei sudditi.
Non dovrebbe fare riflettere il fatto che l’idea di libertà che oggi domina in Italia è la libertà dei sudditi, non quella dei cittadini?

Qual è invece la libertà dei cittadini?

La risposta è facile visto che gli scrittori politici repubblicani che amavano la libertà hanno nei secoli ripetuto sempre il medesimo concetto: essere liberi non vuol dire avere un buon padrone; essere liberi vuol dire non avere un padrone.

Vuol dire non essere dominati da nessun uomo o da nessun gruppo di uomini, cioè vuol dire non essere sottoposti ad alcun potere arbitrario o enorme che può fare quello che vuole: violare le leggi o fare leggi per i propri comodi. Anche se il potere arbitrario o enorme di un uomo si è affermato con mezzi democratici, la semplice esistenza di tale potere rende non liberi, ma servi.

Esiste in Italia un potere enorme che ha prodotto gli effetti tipici di un sistema di dominio?

Mentre sarebbe sbagliato sostenere che esiste in Italia un potere capace di controllare interamente lo Stato e la vita degli Italiani, si può invece affermare che esiste un potere enorme, di grandezza ed estensione sconosciute in qualsiasi altro stato liberale o democratico del passato o del nostro tempo, e che l’esistenza di tale potere ha già creato un popolo servo che si crede libero, un popolo che ha appunto la libertà dei servi.

Il capo del governo detiene un patrimonio personale che nessun altro leader di paesi democratici ha mai neppure sognato di possedere; controlla direttamente o indirettamente un impero mediatico, fatto anche questo che non ha precedenti storici; ha ai suoi ordini un partito, che egli stesso ha creato come ramificazione delle sue imprese, composto di uomini e donne che dipendono da lui per il loro status, i loro privilegi e la loro ricchezza (o parte della loro ricchezza).

La semplice presenza di un simile potere distrugge la libertà dei cittadini.
Li trasforma in persone con la mentalità servile e in cortigiani: cieca devozione agli uomini potenti, disponibilità alla menzogna, ossessione per le apparenze esteriori, simulazione, atteggiamenti buffoneschi, mancanza di rettitudine e di coraggio, acquiescenza, docilità, attitudine all’inganno e arroganza, quest’ultima particolarmente visibile nella classe politica ma anche nella vita ordinaria.

A questi caratteri propri di una società dominata da un potere enorme si aggiunge un altro tipico segno della società di corte, ovvero la presenza a palazzo delle cortigiane per soddisfare le brame del principe e perfino per servire in politici maneggi.

Il potere del denaro di comprare "amici", il potere dei media di persuadere, e perfino il discusso carisma del capo del governo non spiegano tuttavia la nascita del sistema di potere.
Bisogna tenere presente la secolare propensità degli italiani ad essere servi felici e cortigiani.

Già i Medici, nel XVI secolo, sapevano che gli italiani erano lieti di vivere alle dipendenze di un principe. Arlecchino, la tipica maschera nazionale, è servo, ma è felice, e riesce, con l’astuzia, a fare più o meno quel che vuole. Per questa ragione i nostri migliori pensatori politici hanno sempre sottolineato che il problema della libertà in Italia è sempre stato un problema in primo luogo morale.

Carlo Rosselli, in Socialismo liberale scriveva che problema italiano è ancora oggi [1928] il medesimo, vale a dire un problema di libertà, ma problema di libertà “nel suo significato integrale”, cioè “di autonomia spirituale, di emancipazione della coscienza”.

E aggiungeva che è ”triste cosa a dirsi, ma non per questo meno vera, che in Italia l’educazione dell’uomo, la formazione della cellula morale base – l’individuo -, è ancora in gran parte da fare.
Difetta nei più, per miseria, indifferenza, secolare rinuncia, il senso geloso e profondo dell’autonomia e della responsabilità. Un servaggio di secoli fa sí che l’italiano medio oscilli oggi ancora tra l’abito servile e la rivolta anarchica. Il concetto della vita come lotta e missione, la nozione della libertà come dovere morale, la consapevolezza dei limiti propri ed altrui, difettano”.

E invece l’Italia è forse il solo paese democratico in cui chiunque abbia l’ardire di parlare di integrità e di rettitudine viene bollato come un moralista e ridicolizzato, forse proprio perché solo i moralisti hanno capito davvero la natura del dominio che crea servi contenti.