lunedì 25 febbraio 2008

L'ansia da informazione


Il termine informazione ha sempre avuto un significato ambiguo, potendosi attribuire arbitrariamente a molti concetti.
Secondo l'Oxford English Dictinary questo vocabolo trova la sua radice etimologica nella parola latina informare, cioè dare forma alla materia, sia essa pietra, legno, cuoio o altro. Così scritta e con questo significato, tale parola è entrata a far parte della lingua inglese nel XVI secolo. La più comune definizione è: "l'azione del formare; formare o plasmare la mente o il carattere, preparare, istruire, insegnare; comunicare cultura".
Questa definizione è rimasta pressoché inalterata fino agli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, allorquando diventò di moda l'uso della parola "informazione" come vocabolo tecnico, adatto a definire qualsiasi cosa trasmessa attraverso un canale elettrico o meccanico. "Informazione" entrò a far parte del vocabolo della scienza delle comunicazioni. Improvvisamente il nome poteva designare cose che non dovevano necessariamente informare. Questo termine nell'uso generale si utilizzò per indicare qualcosa che viene detto o comunicato, indipendentemente da un possibile significato per il destinatario. Ora, la libertà generata da una definizione così vaga ne ha, come è logico, incoraggiato un uso indiscriminato. E' diventata la parola più importante del nostro (secolo), la linfa vitale della nostra vita e del nostro lavoro.
L'ansia da informazione sì è sviluppata grazie all'ambiguità della parola "informazione". Si è abusato di questo mantra della nostra nostra cultura fino all'insensatezza, proprio come quando a forza di ripeterla una parola perde significato. Dal verbo informare è derivato il sostantivo informazione, ma l'idea di forma o struttura è sparita. Buona parte di ciò che viene comunemente definito informazione è in realtà costituito solo da un ammasso di dati o peggio. (...)
Pertanto, la grande epoca dell'informazione è, in realtà, un'esplosione di non-informazione, un'esplosione di dati. Si impone come imperativo categorico fare una netta distinzione tra dato e informazione. L'informazione deve essere quella che conduce alla comprensione. (...)
L'informazione è diventata la forza trainante della nostra vita e la minaccia sinistra di questa massa di dati in continua espansione che dobbiamo recepire ha reso ansiosi la maggior parte di noi. L'ansia da informazione è il buco nero tra i dati e il sapere; si manifesta quando l'informazione non dice quello che vogliamo o abbiamo bisogno di conoscere.
(Wurman R. S., Information Anxiety, trad. it. L'ansia da informazione, Leonardo, Milano, 1991)

Vi segnalo questo articolo che trovo molto attinente Il mito di Pan e l’ansia da informazione

Elogio della lentezza


chi va piano va sano e va lontano
Chi è nato in un epoca precedente alla nostra, quella comunemente definita "preindustriale" agricola e rurale, viveva con ritmi umani e sociali che seguivano il ritmo stesso delle stagioni, del sorgere e del tramontare del sole, della luna piena e della luna "cattiva", della semina e del raccolto. La gente per incontrasi andava a piedi da un luogo all'altro spesso attraverso strade e sentieri impervi ma seguiva il proprio passo con calma. Anche chi si spostava col cavallo o con un calesse o un biroccino andava lentamente e i suoi spostamenti erano limitati sia nel tempo che nello spazio.
Il tenore di vita non era certamente dei migliori, per procurasi il cibo della sussistenza era impegnativo e il lavoro duro e faticoso.
Quelli erano tempi a cui nessuno desidera più tornare ma, è più desiderabile la nostra vita frettolosa?

domenica 24 febbraio 2008

Casi irrisolti e guai legali, blogger in cerca di giustizia

La petizione, la raccolta di firme porta a porta, il volantinaggio in strada sono la vecchia maniera di chiedere giustizia. Il modo più efficace per raccontare la propria storia e ricevere dimostrazioni di solidarietà, raggiungendo un pubblico molto più vasto, è mettere tutto il materiale su un blog monotematico. Testi, video, foto e rassegne stampa cercano di richiamare l’attenzione su casi aperti. O chiusi nel peggiore dei modi. (...)

Gli amici di Alberto Mercuriali invece attaccano il giornalismo e col blog che gli hanno dedicato propongono un’alternativa al sistema dell’informazione esistente. Il ragazzo, 28 anni di Castrocaro Terme, si è ucciso col gas di scarico delle propria auto lo scorso luglio. Qualche giorno prima i giornali locali avevano scritto del ritrovamento da parte dei carabinieri di alcuni grammi di hashish a casa sua. Il blog si occupa tra l’altro del rapporto tra droga, legalità e mezzi di informazione.
[Panorama.it]

sabato 16 febbraio 2008

Diavoli, diavolesse e diavolerie in Romagna

Nei racconti popolari della Romagna un posto di rilievo è dedicato agli esseri fatati. Uno studio pubblicato nel 1927 da Nino Massaroli (''Diavoli, diavolesse e diavolerie in Romagna'') rappresenta quasi sempre la fata, ''quale fiorisce nelle novelle del focolare romagnolo, sotto forma di una veccia-vecchina; pulita, linda, dall’aria casalinga e simpatica di nonnina (…) Essa ha un preciso e gentile incarico, un esatto compito: disfare i malefici delle streghe; difendere le creature prese di mira dai geni del male, dai mostri della notte (…) Le fatine romagnole amano mostrarsi sotto forme piccolissime (…) La fata romagnola abita nella cappa del camino, sulla quercia dell’aia, nei pignattini del pagliaio'' (il pagliaio romagnolo s’erge sull’aia a forma conica retto da un’asta interna, sulla cui cima mettono un orinale od un pignattino per scongiurare le streghe).
Le fate romagnole dispensano protezione in particolare ai bimbi appena nati. Per ricevere la loro benevolenza occorreva svolgere vari rituali scaramantici come quello di offrire ''pani bianchi o rosate focacce (…) durante il loro passaggio, che in vari luoghi dell’Alpe di Romagna, avviene al vigilia dei morti, o la notte di Natale o dell’Epifania oppure recitare paròl faldédi'' (parole fatate) ''ed anche formole d’invocazione che in Romagna Toscana usavano dire a propiziarsi la fata del mattino nel mettersi in viaggio, e che vive tutt’ora in bocca ai fanciulli romagnoli: Turana, Turana - Rispondi a chi ti chiama - Di beltà sei regina - del cielo e della terra - di felicità e di buon cuore''
Alle fate è infine dedicato un racconto ambientato nelle colline fra Castrocaro e Faenza:
''Sotto Monte Sassone, accanto ai ruderi del castello della Pré Mora (Pietra Mora), nel banco dello spungone sullo strapiombo della voragine del rio della Samoggia, fra le colline a monte di Faenza e Castrocaro nella zona di demarcazione dell’antico confine fra la terra del Papa e quella del Granducato, sono scavate le quattro grotte delle fate (chiamate anche busa – buca - e camaraz – cameraccie). Questa pietra era un prodigioso palazzo, nei lontani millenni delle Fate che lo disertarono quando l’uomo non credette più alla poesia, ma vi lasciarono, pegno del ritorno, i loro magici telai d’oro, su cui l’anima tesseva le canzoni che nessuno sa più ! E perché l’uomo non ne facesse sua preda, confidarono la guardia dei telai a un biscione che sibila minacce e con un soffio precipita nella voragine le ladre scalate, quando mai tentassero le porte inviolabili''. [L. de Nardis, ''La Piè'', 1925]

TRADIZIONI POPOLARI NELLA ROMAGNA DELL'OTTOCENTO

Tradizioni popolari nella Romagna dell’Ottocento. Le inchieste del 1811 sui contadini del Dipartimento del Rubicone. Pagg. 384 con 7 tavole a colori. Imola. 2007.

a cura di Garavini Brunella

Il volume raccoglie le relazioni redatte da parroci, sindaci, podestà e prefetto del Dipartimento del Rubicone in risposta alla nota inchiesta promossa dal Regno Italico nel 1811 su usi, costumi, credenze e superstizioni, mirante a raccogliere informazioni sullo stato economico e sull’orientamento ideologico delle popolazioni amministrate. Com’è noto, la fine del regno napoleonico non consentì un’organica raccolta e rielaborazione delle relazioni, per cui molto materiale andò disperso o rimase sepolto negli archivi. Nel 1818 Michele Placucci, segretario generale della comunità forlivese, che aveva, con quasi assoluta certezza, avuto la possibilità di conoscere almeno parte dei risultati dell’inchiesta, rielaborò quei dati traendone la sua celebre opera Usi, e pregiudizj de’ contadini della Romagna.
A partire dalla metà del secolo scorso sono stati rinvenuti e pubblicati, da parte di vari studiosi, alcuni risultati dell’inchiesta riguardanti il territorio romagnolo. Nel presente volume la curatrice ha raccolto tutte le relazioni già pubblicate (dopo averle riviste sugli originali) e altre inedite da lei ritrovate negli archivi: la straordinaria competenza e l’accuratezza della ricerca escludono di fatto la possibilità di nuove ‘scoperte’. All’interno del saggio introduttivo Brunella Garavini propone inoltre un’ampia presentazione “delle principali e più diffuse notizie tramandate, suddivise per argomento secondo l’ordine codificato dall’inchiesta”: in un certo qual modo una rivisitazione ed integrazione del Placucci.

costumenze diverse, pregiudizj e superstizioni varie ... il Basilisco

Alcuni vogliono, che il Gallo dopo l'età di un anno diventi oviparo, e che dalle sue uova nasca il Basilisco, il cui solo sguardo avvelena tutta la famiglia. da tele superstizione ebbe origine l'uso d'ammazzare ogni anno il vecchio Gallo al tempo della mietitura.
[tratto da Tradizioni popolari nella Romagna dell’Ottocento]



(Il basilisco è un animale leggendario, rappresentato con il corpo da serpente, la testa di gallo, ali e zampe d’aquila. La voce “Basiliscus”, che si incontra nella Vulgata, traduce l’ebraico Sephà, che indica un serpente velenoso terribile, non identificabile tra i viventi. Dagli antichi col nome Basilisco venivano designati strani mostri creati dalla fantasia a cui si attribuivano malefici poteri. Il Basilisco è l’essere favoloso del mondo dei serpenti, un rettile leggendario carico di significati simbolici.Nel corso degli evi il basilisco, che significa “piccolo re”, si modifica fino alla bruttezza e all’orrore. Scrive Plinio: “E’ un drago che ha sulla testa una corona d’oro, grandi ali spinose, una coda di serpente, che termina con la testa di un gallo. Il suo fiato avvizzisce la frutta. Il suo sputo brucia e corrode. Il suo sguardo spacca le pietre. L’odore della donnola lo uccide.Altra arma contro di lui è lo specchio: il basilisco è fulminato dalla sua propria immagine. E’ l’idea del maligno che lo morde”.Il basilisco, sempre secondo Plinio, che ne ha parlato a lungo, è un serpente lungo solo dodici dita che ha una macchia bianca sulla testa, a forma di diadema. “Il suo sibilo fa fuggire i serpenti: non striscia sinuosamente come gli altri rettili, ma avanza, col corpo eretto a metà.Il suo contatto e anche il suo alito uccide gli arboscelli, brucia l’erba da tanto è velenoso. E’ accaduto davvero che un uomo a cavallo uccise un basilisco colpendolo con la lancia ma il veleno seguì l’arma e uccise non solo il cavaliere ma anche il cavallo. La donnola è l’antidoto contro questo mostro. Alcuni re, desiderando vedere morto questo rettile, ne hanno fatto la prova: si butta una donnola nella tana del basilisco ed essa lo uccide col suo odore, ma anch’essa perisce. Così termina la lotta della natura contro se stessa.” Secondo altre fonti il basilisco nasce dall’uovo di un vecchio gallo di sette o quattordici anni, deposto sul letame e covato da un rospo o da una rana. E’ raffigurato da un gallo dalla coda di drago o da un serpente con ali di gallo. Il basilisco risiede nel deserto: meglio, egli crea il deserto. Ai suoi piedi cadono morti uccelli e imputridiscono i frutti.
Il basilisco, questo orrendo mostro mortifero è fulminato dalla sua propria immagine. Pare che gli antichi lo chiamassero basilisco che significa regale, a causa di quella macchia bianca a forma di diadema.
Per Pietro il Piccardo, che scrisse nel medioevo, il basilisco non poteva essere altri che il diavolo, e così la pensava la maggior parte degli scrittori del suo tempo. In molte cattedrali romaniche e gotiche, esso sta a rappresentare alternativamente, il diavolo e il peccato. Il medesimo basilisco nel secolo XIV e XV rappresenta il tradimento degli ebrei e nel XVI secolo viene associato alla collera e alla forza. Tra i peccati capitali il basilisco simboleggia la lussuria e viene combattuto da Cristo insieme al leone e al drago. La sifilide che si diffuse nel secolo XV fu denominata “morbo del basilisco”. Nei libri di emblemi medioevali si fa notare che il basilisco può essere sconfitto solo con l’ausilio di uno specchio che rifletta il suo sguardo velenoso.
“Il malefico basilisco da chiaro specchio sfugge, per propria rovina il veleno dei suoi occhi, chi è incline a fare del male al prossimo, è giusto venga colto egli stesso dal proprio impeto assassino” (Honberg, 1675).
Questo modo di opporre uno specchio al basilisco lo fa associare alla Gorgone, la cui vista faceva precipitare nel terrore e nella morte. I ciarlatani nei secoli XVI e XVII usavano fabbricare simili mostri, deformando abilmente le razze, piccoli pescecani o altri animali, e li esponevano poi nelle piazze per attirare gente. Il basilisco compare anche come termine militare, è il nome di una grossa bocca da fuoco, in uso nei secoli XIV e XV.
In alchimia è simbolo del fuoco devastatore che prelude alla trasformazione dei metalli. E’ l’immagine della morte che abbatte con feroce velocità, la falce è fulminea come lo sguardo, se non ci si pensa in tempo preparandosi con lucidità. Questo serpente è una immagine dell’inconscio, terribile e mostruoso per chi lo ignora e non lo riconosce fino al punto di disintegrare la personalità.
Bisogna guardarlo e riconoscere il valore per non diventarne vittima. I nostri lati di ombra sono in agguato finchè non li guardiamo allo specchio e li accettiamo. Ricordo un sogno in cui: la sognatrice incontra un uomo mostruoso che le dice: “guardami, ti mostro il mio limite.” E’ necessario fare i conti e guardare in faccia il mostro che siamo, sapendo anche che mostruosità e regalità coincidono, che nel nostro limite è celata la trasformazione. Incontro con l’ombra, morte, trasformazione sono strettamente legate. Prevale ancora il timore del serpente velenoso, come rappresentazione dell’inconscio pericoloso e nella maggior parte delle persone il lato mostruoso, tenebroso negativo della personalità resta inconscio.
Il basilisco può simboleggiare il male e le forze demoniache che solo l’eroe affronta.
L’io non può trionfare prima di aver conosciuto e assimilato l’ombra.)