lunedì 12 novembre 2007

Bianzino ... ritratto di famiglia

BIANZINO, RITRATTO DI FAMIGLIA 11/11/07

Il ricordo del padre. "Ci si capiva con un gesto" e se si arrabbiava faceva il "digiuno delle parole"

Nella foto di R. Martinis Aruna Prem ed Elia, i due figli maggiori di Aldo Bianzino

Em. Gio.

Domenica 11 Novembre 2007
Perugia - Si abbracciano i tre figli di Aldo, in testa al corteo. Sorridono e anche scherzano tra loro. Elia, il secondo, 21 anni e un lavoro in un ristorante del perugino, ha una bandiera della pace avvolta al collo. Assomiglia davvero a suo padre questo ragazzo magro e lungo con un pizzetto di tutto rispetto sotto il mento. Accanto a lui il primogenito, Aruna Prem, studi da ingegnere telematico a Torino, 24 anni. Attorno a loro molti ragazzi, amici: “tanti non li vedevo da tempo – dice Elia – e sono contento. Mi fa piacere, c’è una bella energia”. Ha fatto il liceo linguistico Elia ma poi ha scelto di smettere e di andare a lavorare: “Ognuno deve fare quel che gli piace”, commenta il fratello e si capisce che non è una frase fatta. Che in questa famiglia, insomma, si respira aria di libertà e di tolleranza.
Così del resto era Aldo Bianzino, così lo ricordano tutti: “un uomo di poche parole? Si è vero – commenta Elia – ma anche una persona che non aveva bisogno delle parole per comunicare. Avevamo un bellissimo rapporto e a volte bastava un gesto. Pensa - dice sorridendo – che il suo modo di arrabbiarsi era tacere: faceva il “digiuno delle parole”. Ci capivamo insomma e io lo aiutavo volentieri. Abbiano fatto assieme tanti mobili e infissi quando andavo ad aiutarlo nel suo laboratorio…qual è la cosa che in questa storia mi ha ferito di più? Che era giovane – dice Elia – e aveva ancora tanto da dare”.
Aruna Prem, capelli nero corvino, osserva il corteo e abbraccia gli amici. Ha ben chiaro il valore simbolico di questa marcia di persone che si chiedono, come tanti che non sono venuti, come sia possibile morire in prigione nell’Italia del 2007: “Vogliamo giustizia, chiarezza, verità”, dice mentre il corteo si snoda dalla periferia di Perugia verso una piazza più centrale. “Se ho fiducia nella magistratura? Devo averla, ci devo sperare”.
Poco più avanti ci sono Gioia, la prima moglie di Aldo. E Roberta, la compagna che quel maledetto venerdi venne portata a Capanne con lui. Gli amici si stringono vicini. Qualche passo indietro c’è Giuseppe Bianzino, il padre di Aldo, viso incorniciato da una barba candida e una somiglianza evidente con l’ebanista di Pietralunga i cui mobili e mobiletti sono sparsi un po’ in tutto il circondario. “Difficile – dice - avere in Italia molta fiducia nella magistratura. Non che non ci siano bravi magistrati, anzi. Ma la nostra è una storia piena di buchi, casi irrisolti, indagini che non hanno portato a nulla. Cosa ricordo di Aldo? L’ultima volta l’ho visto in agosto. Stava bene e anzi mi pareva più sereno del solito e con qualche chilo in più, che non guastava. Aveva ritrovato anche quell’ironia tipica di quand’era ragazzo. Poi ci siamo abbracciati….” Ma qui Giuseppe Bianzino si ferma. Come se volesse, comprensibilmente, difendere l’intimità dei sentimenti dall’invadenza a volte quasi voyeurisitica di noi giornalisti. E che in questi giorni di tragedia qui a Perugia sembriamo più attenti ai delitti “piccanti” che non ai casi dove al centro c’è un’evidente violazione di diritti nel cuore del sistema di sicurezza dello stato. “Ma si sa – dice – certe cose non fanno vendere”.

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