sabato 27 ottobre 2007

INTOLLERANZA ZERO ... DI STATO

ricevo dall'amico FRANCESCO PIOBBICHI

Aldo Bianzino viveva vicino a dove sono nato, Aldo è morto in circostanze sospette dopo essere finito in carcere perchè accusato di coltivare marijuana. Sembra che queste notizie comincino a diventare normalità in un paese che fra giri di vite e pacchetti sicurezza sta lentamente scivolando verso una forma di autoritarismo di cui non si conosce la fine. Sembra quasi che stia (ri)nascendo una zona d’ombra nella nostra democrazia, generata dall’intreccio tra retoriche securitarie e piano simbolico, tra guerra al povero e disprezzo per la diversità. Né Repubblica né il Corriere hanno scritto una riga sulla vicenda, impegnati come sono a mobilitare il ventre molle del nostro paese contro il capro espiatorio di turno. Per loro la morte di un cittadino pacifista che finisce in galera per coltivazione di marijuana e che in una cella d’isolamento trova la morte (sembrerebbe per le botte prese) non fa notizia. Si dirà che i giudici hanno da subito aperto un’indagine, si dirà che in un paese di diritto queste cose vanno subito chiarite e che verrà fatta giustizia, si dirà questo e tanto altro. Quello che non si dice però è che la vicenda di Aldo Bianzino sembra simile a quella di altri, come quella di Giuseppe Ales, di Federico Aldrovandi, di Alberto Mercuriali caduti uno dietro l’altro dentro il buco nero della nostra democrazia, un fossato scavato nel tempo, con gli arnesi della stigmatizzazione mediatica e dell’etichettamento, con il lavoro costante degli imprenditori politici della paura rafforzato con il mantra della zero tolleranza. Un pozzo senza luce dove in fondo si trova la repressione senza mediazioni, fisica o psicologica che sia poco importa. Che sia il titolo di un giornale ad uccidere un ragazzo o una manganellata, quello che emerge è il carico di violenza spaventoso che pervade queste storie. Storie d'innocenti che avevano la sola colpa di avere uno stile di vita alternativo, di essere sospettati di utilizzare sostanze o di fumarsi una canna in un parco, di girare senza documenti o di coltivare marijuana per uso personale in un paese che invece dei trafficanti persegue i consumatori. Come non accorgersi che queste vicende, che non a caso accadono nella provincia “comunitaria” sono molto simili a quelle dove la violenza viene agita direttamente dalla società dei “normali”. In fin dei conti un filo rosso lega le coltellate a Renato Biagetti, considerato da un fascista una zecca da colpire solo perché ascoltava musica reggae fino a tardi, alle prese in giro che portano minori a togliersi la vita, gettandosi dal terzo piano perché considerati gay. Sembra che ci sia nel nostro paese una sorta di “spontaneismo intollerante” che agisce violentemente, psicologicamente e fisicamente contro la diversità generalmente intesa. Un fenomeno che trova sponda, accoglienza e legittimazione nell’idea di una società tradizionale messa sotto assedio dalla modernità che va difesa a tutti i costi, una dinamica che viene alimentata quotidianamente nel discorso pubblico utilizzando la logica del capro espiatorio che condensa in sé tutta l'ansia sociale. Altro che la sicurezza non è di destra né di sinistra, se uno come Amato non ha mai fatto caso che se sul piano dei linguaggi e dei segni legittimando la tolleranza zero si finisce al tempo stesso per legittimare l’intolleranza vuol dire che sul piano della cultura politica c’è uno smottamento senza precedenti. Una deriva questa che produce i suoi effetti travolgendo sia il rispetto dei diritti e delle garanzie costituzionali, ma anche e soprattutto l’idea stessa di società moderna. Io penso che questi segnali ci dicano che è arrivato il punto limite, e che c'è la necessità di dare una risposta immediata sia sul livello normativo che su quello dell'egemonia culturale. Sembra insomma che la nostra societa non sia più in grado di metabolizzare i fenomeni che l'attraversano, e che stia delegando all'apparato repressivo la risoluzione di tutte le sue contraddizioni; perchè questo avvenga è sicuramente il frutto di dinamiche complesse e multifattoriali, sulle quali occorre riflettere seriamente. Quello che è certo però è che questa deriva va contrastata a fondo, senza cedimenti, per questo rivolgo un'appello per organizzare al più presto, in una modalità tale da permettere la massima convergenza di tutte le forze che ritengono utile impegnarsi in questo senso, un grande appuntamento nazionale contro l'intolleranza, perché un paese intollerante è tutto tranne che un paese sicuro.

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