giovedì 23 agosto 2007

La droga fa male. Proibita fa peggio - di Marco Taradash

La droga fa male. Proibita fa peggio - di Marco Taradash - 19.07.07

(...) Droga è il nome delle droghe proibite. Non le più letali, come si sa. Né come causa diretta né come causa indiretta di morte. Il tabacco uccide migliaia di volte più dell’eroina, più pigramente e più tardi, ma più inesorabilmente. L’alcool a sua volta divora l’organismo più lentamente dell’eroina o della cocaina (ma più velocemente della nicotina) ma al contempo è causa di migliaia di morti violente ogni anno sulle strade di ogni paese del mondo. Centinaia di volte più della droga proibita, anche in questo caso. Anche in Italia, che pure non avverte l’alcolismo come problema sociale, e ha leggi molto molto comprensive verso chi guida in stato di ebrezza, che per fortuna ora si pensa di indurire.

Ci sono molte buone ragioni per giustificare il proibizionismo sulle droghe. Ragioni morali, innanzitutto, e poi sociali, e poi culturali, e poi sanitarie, e poi psicologiche, e poi pratiche, e poi elettorali. Ma ce n’è una più che sufficiente per contrastarlo, al di là di ogni credo: il proibizionismo non funziona. La repressione combatte il male, è vero. Ma non lo riduce. Anzi, lo moltiplica. Aggiunge male al male, trasformando un problema personale in una tragedia pubblica. Un vizio privato si muta in una moltitudine di vizi pubblici. Molti dei quali – di fatto i più dannosi perché provocano la diffusione per metastasi di un morbo che altrimenti potrebbe essere isolato e meglio curato - non hanno nessuna relazione diretta con l’assunzione di droga, ma esclusivamente col rimedio che noi utilizziamo per combatterla. Aggressioni contro le persone e la proprietà, corruzione, mafia, malattie (Aids ma non solo), sono amplificate drammaticamente non dalla droga ma del modo in cui la politica ha deciso di combatterne la diffusione.

Ci sono molti altri argomenti per opporsi alla proibizione, in nome di quel binomio inscindibile fra libertà e responsabilità che è alla base di un’etica liberale. “Ragiona con il potenziale tossicodipendente, sì. Parlagli delle conseguenze, sì. Prega per e con lui, sì. Ma io credo che non abbiamo il diritto di usare la forza [dello Stato] direttamente o indirettamente per impedire a un adulto di commettere suicidio e ancor meno per tenerlo lontano dall’alcool o dalle droghe” scrisse Milton Friedman in un famoso articolo su Newsweek nel 1972. Ma al fondo resta il fatto che il proibizionismo non funziona. “Non è che degli Stati Uniti condivida proprio tutto” - ha detto Mario Vargas Llosa nel corso della lettura annuale 2005 dell’American Enterprise Institute (Confessioni di un liberale) - “per esempio lamento il fatto che molti stati applicano ancora quell’aberrazione che è la pena di morte, e anche altre cose, come ad esempio il fatto che la repressione ha la prevalenza sulla persuasione nella guerra alla droga, a dispetto della lezione del Proibizionismo”. Che non funzionò. “La guerra alla droga ci è costata miliardi di dollari, ma la droga è ancora lì nelle strade. Il proibizionismo si è rivelato un costoso fallimento. Come sull’alcool anche il proibizionismo sulla droga ha creato più problemi di quanti ne ha risolti. La guerra alla droga ha distrutto le vite degli abitanti delle città, corrotto le forze dell’ordine e distorto la nostra politica estera”, si legge in una dichiarazione del Cato Institute, un’altra Fondazione americana non sospetta di simpatie verso la sinistra e i sinistrismi. Anche in Italia i più autorevoli fra i liberali, da Antonio Martino a Alberto Mingardi (Marco Pannella fa storia a sé) avversano il proibizionismo per ragioni sia teoriche che pratiche.

L’ultimo rapporto sul consumo e il traffico di stupefacenti, diffuso a luglio, ripete cose note. L’uso delle droghe illegali aumenta anno dopo anno, in particolare la cannabis, mentre diminuisce il prezzo di vendita al dettaglio. Anzi, per meglio dire, mentre il prezzo resta stabile, il marketing viene incontro al consumatore di oggi: una dose di cocaina al prezzo di una buona bottiglia di vino. Il consumo delle droghe legali, dice il rapporto, è diminuito negli ultimi cinque anni; in modo rilevante per l’alcool, meno per le sigarette a causa dell'aumento del numero delle fumatrici. (...)

Le mafie italiane hanno trovato nella droga lo strumento finanziario e di penetrazione sociale che ha consentito loro il salto dalla dimensione rurale o provinciale a quella di organizzazioni transnazionali della violenza e della corruzione, e poi della finanza, con sede nei principali centri economici del Nord Italia e nelle capitali finanziarie di mezzo mondo. Lo scenario mondiale è ancora più sconfortante. (...)

Quando si parla di legalizzazione in Italia si pensa generalmente agli spinelli. Negli ultimi dieci anni anche gli antiproibizionisti non hanno fatto molto per smentire questa convinzione (penso alle distribuzioni pubbliche di hashish o marijuana, alla definizione di non-droghe). Ma è un grave errore. Le droghe vanno legalizzate non perché sono innocue, ma anche se - e proprio perché - fanno male. Può esistere un uso pesante delle droghe leggere. Al di là delle demonizzazioni, credo che genitori amorevoli debbano cercare di capire cosa o chi porta un ragazzo allo spinello o peggio a un suo uso frequente, senza drammatizzare ma senza banalizzare. E visto che le conseguenze a lungo termine dell’uso frequente della canapa sono tuttora poco conosciute, è bene tenere una posizione intermedia fra l’allarmismo e il tranquillismo.
Ma se una sostanza fa male, proibita fa peggio. Vietate, le droghe fanno male non soltanto a chi le adopera, ma all’intera società (e ovviamente soprattutto ai più deboli o svantaggiati, che vivono in quei quartieri, o sono più facile obiettivo di quei reati). Vietate, il loro effetto si moltiplica, si trasforma, si deforma orribilmente.
Non esiste alcuna relazione di simpatia fra antiproibizionismo e permissivismo. Un confronto aperto aiuterebbe a dissipare inutili allarmi e a concentrarci sulle soluzioni. Un esempio: che dalle droghe leggere si passi alle droghe pesanti è una leggenda. Questa relazione è falsa, come falso sarebbe il sillogismo di chi dicesse che dal tabacco si passa alla marijuana visto che nella generalità dei casi chi si fa uno spinello ha in passato fumato qualche sigaretta (cosa che di fatto accade a oltre il 90% dei fumatori di cannabis). Le ricerche sul campo ci danno un quadro più realistico della faccenda: in Italia quasi 9 fumatori di spinello su 10 non utilizzano altre sostanze illegali (per la precisione l’87%, secondo il rapporto 2006), mentre c’è un certo numero di persone che alternano la cocaina o l’eroina all’alcool senza fumare spinelli. Certo, è vero che le sigarette si vendono in tabaccheria, mentre l’erba si compra per strada, da rivenditori che possono offrirti anche altra merce, e convincerti a fare qualche esperienza nuova. Questo comporta di per sé rischi di passaggio dalle droghe leggere alle pesanti – ma questa non è semmai una buona ragione per togliere l’erba dalla strada?

Sono soprattutto le droghe più pericolose per la salute individuale, e più dannose alla società che occorre riportare sotto controllo, alla luce della legge, della medicina e dell’assistenza sociale. Tenendo presente che buona parte del danno (o tutto, se si pensa alla criminalità, alla delinquenza, alla corruzione) nasce non dalla droga ma dalle leggi sulla droga. Ecco un buon piano antidroga: sottrare le sostanze alla poderosa macchina propagandistica e distributiva del mercato nero, annullarne la prodigiosa capacità di moltiplicare per decine e centinaia di volte gli investimenti iniziali, impedire che l’assuefazione alla droga si trasformi nel consumatore in assuefazione alla violenza contro gli altri. Affamare le mafie, strappare alla delinquenza i tossicodipendenti in crisi di denaro, convertire gli investimenti dello Stato dalla repressione ad un sostegno massiccio per le comunità terapeutiche, i centri di assistenza, le famiglie che vivono questa piaga. Legalizzare, informare, scoraggiare, e tassare. E fare in modo che l’economia della droga e quella dell’antidroga non abbiano più, al di là delle buone intenzioni dei legislatori e della dedizione spesso eroica di chi opera sul campo, il comune interesse a non far migliorare la situazione. Combattere la droga si può. Combattere i “drogati” è stupido. Lasciare alla criminalità il potere di gestire le immense risorse che il proibizionismo genera è suicida.

Brano tratto da:

1 commento:

Anonimo ha detto...

puro vangelo.